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"Ma quanta vita ha ancora il tuo intelletto 

Se dietro a te scompare la tua razza" 

(da <Miserere alla storia> di Nocenzi / Di Giacomo, Nocenzi; dall'album "Darwin" del Banco del Mutuo Soccorso)

1. STATO D'ECCEZIONE DELL'UOMO

Io, essere umano, sono <straordinario>.

Io, essere umano - se adulto - sono veramente <straordinario>.

Io, essere umano - se adulto, sveglio, normale, non soggetto ad alterazioni chimiche e/o fisiologiche - sono assolutamente <straordinario>.

A essere <straordinaria> è la mia <mente>, le cui caratteristiche mi distinguono dai "non umani".

Quindi, dicendo <io essere umano>, mi riferisco alla mia mente, perché "io sono la mia mente".

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"Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va" 

(Vangelo di Giovanni 3,8)

2. ECCEZIONALE E' LA MENTE UMANA

Specificità dell'<homo sapiens> è la mente.

"Homo sapiens" (uomo sapiente) è la definizione scientifica della specie umana riguardante all'incirca gli ultimi 200.000 anni.

Un tempo non si parlava di <mente> (e nemmeno di "homo sapiens"). Un tempo si parlava di <anima>. Per i pensatori della Grecia antica la specificità dell'essere umano era l'anima.

Che la si chiami mente, anima, spirito, coscienza o psiche, in ogni caso - con diverse sfumature - sempre si tratta della complessa funzione immateriale con cui indichiamo "il sé di una persona".

Il nostro termine <anima> è connesso al greco <ànemos>, cioè "soffio", "vento".

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"E la lumaca, pacifica

borghese del sentiero,

umile e ignorata

contempla il paesaggio" 

(da <Il giardino dell'erba voglio> di Federico Garcia Lorca)

3. L'ECCEZIONALITA' E' NEUTRA

<Straordinario> è termine né positivo né negativo. Significa "fuori norma". Quindi, affermando <sono straordinario> non mi vanto, ma osservo un dato oggettivo: "io, essere umano, sono fuori norma"; ciò che faccio con la mia mente è palesemente diverso da quanto fanno gli altri esseri.

A definire eccezionale la mia mente è la mia mente. In effetti, la mia mente è straordinaria anche nel suo autodefinirsi straordinaria.

Un'eventuale qualità "positiva" o "negativa" della natura umana attiene a valutazioni diverse rispetto alla constatazione dello <stato di eccezione>. Così, dopo la constatazione <io, essere umano, sono straordinario>, potrei aggiungere <e anche stupendo> oppure <e anche maledetto>, secondo i punti di vista.

In senso tecnico, pure la lumaca viola è eccezionale: il suo colore esce dal normale cromatismo dei gasteropodi.

E anche alla definizione della lumaca viola - una volta stabilita la sua <eccezionalità> - ognuno potrebbe aggiungere <bellissima> oppure <disgustosa>, secondo differenti e soggettive valutazioni.

 

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"E se alla sua età le difetterà la competenza

presto affinerà le capacità con l'esperienza" 

(da <La città vecchia> di De Andrè, Monti)

4. PROBLEMA DELL'ECCEZIONALITA'

L'eccezionalità della lumaca viola non è un problema né per la lumaca né per chicchessia. Il suo colore è un'anomalia che - più o meno - finisce lì.

Invece, l'eccezionalità umana è un <problema>.

E' un problema perché la singolarità dell'Uomo è nella <mente>, dove hanno luogo tutti i problemi.

In che senso la mente è sede di problemi e, dunque, è essa stessa IL PROBLEMA? La mente definisce e qualifica gli eventi, elabora le emozioni, ragiona ponendosi interrogativi, ricorda e immagina. In altre parole, la mente non solo registra una situazione descrivendola (in casa fa freddo), ma la qualifica (è un male), elabora una risposta emotiva (oddio, rischio di ammalarmi!), la interpreta secondo logica (si sarà spento il riscaldamento), la colloca in un contesto a ritroso (la caldaia è spenta perché non ho fatto il contratto per il gas), le fornisce parametri spazio-temporali (la casa non è molto grande, basterebbero tre ore di riscaldamento al giorno), ne immagina conseguenze (dovrò comprare una stufa), ne ricorda di analoghe (qualche anno fa me la sono passata male per un analogo problema), prefigura soluzioni (le condizioni meteo potrebbero presto cambiare e far salire la temperatura).

Insomma, la mente costruisce un enorme edificio ("esperienza" di un fatto) partendo da un semplice mattone (il "nudo" fatto), mentre per gli altri animali - grosso modo - il fatto resta fatto (e il mattone resta mattone).

C'è una grande differenza fra l'atto del mangiare compiuto da un lupo o da un pesce (ingurgitare alimenti) e la ricchissima cultura culinaria e alimentare dell'Uomo: riti, tradizioni, prassi, cerimoniali, ricettari, regimi dietetici, preparazioni, decorazioni della tavola, bon ton conviviale, abbinamenti dei vini, eccetera.

Analoga è la differenza fra l'atto sessuale eminentemente riproduttivo (degli animali) e l'erotismo (umano). Detto questo, è nota la capacità di alcuni tristi individui di compiere atti sessuali fini a sé stessi, ossia privi di erotismo e senza nemmeno scopi riproduttivi (così come è nota la scelleratezza di quanti si ingozzano di alimenti talmente venefici da poter condurli alla morte).

L'Uomo è in grado di trasformare atti semplici e naturali in esperienze riccamente elaborate, ma anche di precipitare nel polo opposto, scendendo, cioè, a livelli miserevoli: la mente può essere strumento di valorizzazione delle esperienze, ma anche di perversione e traviamento.

Perciò l'essere umano è capace di imprese nobili e magnifiche, ma anche di dar luogo a guerre, campi di concentramento, strumenti di tortura e stragi assolutamente inutili.

L'edificio che io umano costruisco sopra e intorno a un fatto è l'esperienza del fatto: costruire quell'edificio è <fare esperienza>.

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"L'esperienza non è ciò che accade a un uomo. E' ciò che un uomo fa di ciò che accade a lui" 

(Aldous Leonard Huxley)

5. FARE ESPERIENZA

Io umano faccio esperienza di ogni cosa. Se il mio cane soltanto "mangia", io invece <degusto e assaporo>; se il mio cane semplicemente "vede", io invece <guardo e osservo>; se il mio cane si "muove", io invece <viaggio e imparo>; se il mio cane prova "dolore" (magari per una zampa ferita), io invece <soffro e mi dispero> (anche per cause psicologiche).

Fare esperienza delle diverse situazioni di una intera vita significa avere una coscienza articolata, stratificata, composita, di tutti i fatti, gli eventi, gli accadimenti, gli incontri, le notizie, le emozioni e i sentimenti, che attraversano la nostra esistenza.

<Fare esperienza> vuol dire essere "umani", nel bene e nel male, nel buono e nel cattivo: <fare esperienza> della morte di una persona cara può essere terribile perché non ci si limita a prendere atto del suo corpo inerte e/o della sua assenza, ma ci si rende conto che non si avranno mai più scambi affettivi e verbali con quella persona; d'altro canto <fare esperienza> della nascita di un figlio può essere meraviglioso perché non ci si limita a prendere atto della nuova creatura, ma ci si rende conto di aver messo al mondo un individuo, di essere avviati su un percorso denso di <dare e ricevere>, di essere investiti da una seria e gratificante responsabilità, di avere una presenza costante in più nella propria casa e nella propria vita, di poter trasferire a qualcuno ciò che si è imparato. 

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"Fare anima significa prendere ogni persona, oggetto, evento con cui veniamo a contatto e riportarlo alla sua reale natura di immagine ricordando a noi stessi che stiamo sognando e che ciò che percepiamo è una immagine prodotta dal nostro stesso sogno". 

(Selene Calloni Williams)

6. FARE ANIMA

Per molti secoli, il <fare esperienza> dell'Uomo si è spostato, progressivamente, da una dimensione "mitologica" a un livello "letteralista", materialista, realista, come se le esperienze contenessero sempre più alti livelli di oggettività.

Oggi, infatti, si percepiscono le esperienze nel mondo come realtà assoluta, inconfutabile. Di conseguenza, ci si sente il "centro del mondo". Non si ha molta capacità di relativizzare, di osservare le cose da prospettive trasversali, da angolazioni più sfumate e morbide.

L'atteggiamento attuale è questo: il fatto x succede a me quindi il fatto x è vero; quel che mi accade è il parametro del reale; se io sono il parametro del reale, allora io sono la cosa più importante di tutte (anche di Dio).

Contro questa tendenza "realista" del <fare esperienza>, il filosofo e psicoanalista americano James Hillman suggeriva il <fare anima>.

In sintesi, <fare anima> significa riportare l'esperienza umana al rango di immagine, illusione, sogno, senza per questo sminuirla, anzi rendendosi conto che si tratta della sola "realtà" a noi possibile.

A noi è concessa una realtà "ad hoc" e nessun'altra. Questa, pertanto, è <la nostra realtà>, ma non <LA REALTA'> (ammesso ne esista una, in senso oggettivo e massimamente indipendente dal nostro sguardo).

Se i miei occhi possono vedere solo nello spettro prestabilito dall'interazione fra organo oculare e cervello, se le mie orecchie non raccolgono frequenze inferiori e superiori a una certa gamma, allora ciò che io "vedo" e "sento" come reale è solo il frutto dell'incontro fra alcuni stimoli e i miei sensi assolutamente limitati. E lasciamo, per ora, da parte gli enormi condizionamenti "culturali" che aggiungono altre caratterizzazioni, deviazioni e limitazioni a "vista" e "udito" (nonché agli altri sensi, compresi quelli "interni": sentimento, emozione e intuizione).

Già all'interno della sola umanità, una banale mela rossa non è tale per tutti gli individui. Ci sono persone daltoniche che vedono altri colori rispetto alla maggioranza... e ci sono persone che hanno una soglia di sopportazione del dolore diversa dalla norma; persone dotate del cosiddetto "orecchio assoluto"; persone che sentono sapori e odori che altri non riescono a percepire.

La mia esperienza, il mio <fare esperienza> dei fatti del mondo è, dunque, una roba MIA, molto MIA, assolutamente MIA. E' una faccenda estremamente soggettiva, ricade nel mio perimetro. Allora su di essa IO posso intervenire, diminuendo la presunzione di obiettività e riconducendo l'esistenza alla sua natura immaginale. 

 

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